Pesanti come coriandoli
- Roberto Gramiccia
- 19 giu 2018
- Tempo di lettura: 3 min
Tutte le donne e gli uomini sono fragili. Lo sono anche coloro che non sanno di esserlo. Gli artisti in particolare sono fragili ma hanno il privilegio di trasformare questa condizione, di volta in volta, in occasioni creative potenzialmente capaci di produrre capolavori che sfidano il tempo. È qui che si nasconde la forza ineguagliabile dell’arte: nel falsificare l’infalsificabile, cioè l’ineluttabilità della morte. Persino cicli storici millenari (pensate al Medioevo) prima o dopo hanno fine. L’arte no. L’arte può non avere mai fine. Pensate alla Pietà di Michelangelo. Potrà mai avere fine?
Ecco perché gli artisti possono essere pesanti come la roccia, duraturi ed eterni persino, attraverso le loro opere. Ma sono anche leggeri come coriandoli perché la sensibilità, che non possono non avere, li rende quasi sempre anche più vulnerabili degli altri. I coriandoli sono di mille colori e volano leggeri quando sono lanciati per aria dai ragazzini mascherati a Carnevale. Danno gioia e allegria ma fatalmente sono destinati a cadere a terra e a mischiarsi con la polvere.
Ecco allora che il massimo della vulnerabilità e il massimo della potenza si fondono nel destino degli artisti. Anzi si può dire che la loro fragilità sia l’elemento negativo fecondante della dialettica che produce la storia e, quindi, anche la storia dell’arte. È per questi motivi che riteniamo che questo mostra ben si collochi nel cuore di un Festival della Filosofia con al centro la questione cruciale della fragilità.
La fragilità del resto è il filo rosso che da venti anni percorre, per quel poco che conta, la mia ricerca non solo medica ma anche politica ed estetica. Sin da quando scrissi Fragili eroi (una raccolta di profili d’artista) e La Strage degli innocenti (un’inchiesta sulla dimensione senile della fragilità), sino ad Elogio della fragilità e al Manifesto di essa, che forniranno i contenuti sui quali ci confronteremo nel primo giorno di questo Festival di Filosofia in Ciociaria, quello dedicato all’Arcipelago Fragilità.
Gli artisti che hanno accettato il mio invito ad esporre nel Castello dei Conti de Ceccano si riconoscono nel Manifesto della fragilità, quasi tutti lo hanno sottoscritto. Ma quello che più conta sono in sintonia con un approccio all’arte che si nutre alle fonti della tolleranza e dell’umanesimo, della libertà e del riconoscimento della diversità come valore. Oggi più che mai principi non scontati. Anzi, posti ogni giorno in discussione da chi ha interesse a mettere gli ultimi contro i penultimi, i poveri contro i disperati.
I linguaggi di questi otto artisti sono diversi ma in ciascuno si ritrova il rispetto dell’altro e la consapevolezza dell’importanza della dimensione individuale (la ricerca artistica è quasi sempre solitaria) e di quella collettiva (la difesa dell’autonomia dell’arte non può non esserlo).
E così chi avrà la fortuna di partecipare al Festival di Filosofia in Ciociaria, a Ceccano (Fr), potrà apprezzare: le forme plastiche radicali e seduttive dirossovestite di Alberto Timossi e quelle metalliche, curvilinee ed eleganti di Paolo Di Nozzi; le declinazioni aniconiche raffinate ed esoteriche di Sandro Sanna e quelle libere ma rigorosissime di Francesco Careddu; le grafo-narrazioni calligrafiche di Roberta Maola e di Giulia del Papa, entrambi debitrici di una tradizione iperrealista temperata però da un’intenzionalità tutta concettuale; le suggestioni in punta di matita e di pennello e le immagini fotografiche di due artisti partecipi della grande lezione che viene dall’Oriente, due frequentatori abituali della delicatezza, della fragilità e del silenzio: Silvia Stucky e Oscar Turco.
In accordo con Emilio Garroni, siamo convinti che le parole del Festival troveranno nelle opere di questo artisti il contrappunto di un’ ”estetica non speciale”, al servizio della conoscenza e dei processi di liberazione dal bisogno, non solo materiale.

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