Umanità, prenditi per mano
- Daniela Mastracci
- 31 lug 2018
- Tempo di lettura: 3 min

Può farti una carezza un albero? Può prenderti per mano un qualsiasi animale? Forse può sfiorarti la foglia dell'albero mossa dal vento. Forse può darti la zampa il tuo cane. Ma nessuno dei due casi è l'accadere dell'uomo all'uomo, quando ci si accosta, ci si vuole bene, ci si prende cura l'uno dell'altro. L'essere umano, una cosa la sa, oltre le infinite cose che non sa. L'essere umano sa la sua propria condizione di mortale. I Greci così chiamavano gli uomini, i mortali. In ciò contrapposti agli Dei, gli immortali. I mortali sanno di essere un tempo, e solo quel tempo. E sanno che ciascun mortale è uguale a ciascun altro, proprio perché è un tempo, e solo quel tempo. Tra i mortali non ci sono differenze. Il tempo della vita è ciò che siamo, e anche ciò che abbiamo, visto che lo sappiamo. Oltre che mortali, allora, siamo anche come scissi in noi stessi, ulteriormente fragili: scissi tra il noi che è mortale, e il noi che sa di essere mortale.
Siamo una consapevolezza, pur appena accennata, pur solo avvertita, che, in quel tempo che viviamo, accompagna la vita: come una mano caritatevole che ciascuno porge a se stesso, accompagnandosi. Ma capace proprio perciò, di accompagnare un altro essere umano mortale. Capace di riconoscere nell'altro ciò che ciascuno di noi è, e sa di essere, e nel riconoscimento reciproco del tempo, finito, della vita, prendersi per mano perché nessuno sia solo, nessuno sia senza aiuto, senza occhi che guardino benevoli, accoglienti, accudenti; gli occhi di chi sa che nessuno è eterno, nessuno mai sarà più di ciò che ciascuno altro è, nessuno può travalicare il limite del tempo della vita.
Allora perché dovrebbero albergare brutti sentimenti nel cuore di un mortale? Perché odiare un altro mortale? Perché erigere identità rigide come sbarre invalicabili? Che poi sono sbarre da ambo i lati e imprigionano da ambo i lati. Perché lottare contro chi è proprio come tutti gli altri umani? Che i colori ne facciano degli immortali? Che le nazionalità ne facciano degli immortali? E i colori di chi guarda e identifica? Di chi sta dalla parte di colui che può giudicare e decidere, perché a costui tocca la condizione socio economica più vantaggiosa, costui è immortale, allorché giudichi?
Non credo si possa guardare con odio se ricordiamo, momento per momento, che nessuno di noi è oltre il tempo della sua vita. Se ricordiamo che siamo tutti caduchi, ora qui, ma non per sempre. E siamo tutti un po' malati di tale ontologica caducità, tutti un po' segnati da una stessa nostalgia, come se avvertissimo già il non essere più, e l'essere in vita ci mancasse; come un'anticipazione del tempo volto al termine. L'uomo è l'animale malato, dice qualche filosofo, e lo dice il poeta, lo dice la sensibilità frangibile che incontra se stessa nell'altro, caduco, altrettanto. Ma nella caducità può trovare casa la Cura, il prendersi per mano, il volersi bene, piuttosto che farsi guerra. Tanto la guerra non cambia la caducità, semmai la rafforza, la alimenta, la anticipa. E perché anticipare quel tempo che comunque finisce?
Tra umani non ci sono differenze. Eppure gli umani costruiscono differenze. Ma possiamo guardarle bene, possiamo renderci conto che sono appunto nostre costruzioni, nostre guerre. E se sono nostre, esse risentono della stessa mortalità di chi le ha prodotte: le costruzioni umane sono finite, esattamente come l'uomo che le produce. Sono tali che anche per esse vale che sono un tempo, e solo quel tempo, non eterne, non oltre la storia dell'umano; produzioni umane che, riconosciute così, perdono la presunta assolutezza che l'uomo, mortale, vorrebbe ad esse conferire. Grande iubris! Come può un mortale produrre l'immortale?
Possiamo togliere la maschera della assolutezza, togliendoci noi stessi la maschera della assolutezza. Perché assoluto vorrebbe dire sciolto da qualunque vincolo, illimitato, infinito. Ma i mortali semplicemente non sono questo. Non siamo questo. Allora possiamo sciogliere le rigide identità, possiamo guardarle per ciò che, solo, possono essere, e cioè modi della nostra comune mortalità, modi d'essere, espressioni, sfumature, ma della sola mortale condizione umana.
E in questa condizione umana all'umano è dato di farsi carezze. All'umano è dato di prendere la mano dell'altro e accompagnarsi, reciprocamente.
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