Diario dell'umanità (perduta?)
- Daniela Mastracci
- 2 ago 2018
- Tempo di lettura: 3 min

Sono scesa per portare umido e indifferenziata nei cassonetti sotto il palazzo. Cerco le chiavi: qui i cassonetti sono sistemati in piccoli quadrati recintati e chiusi da un cancelletto: questo vuol dire niente cani o gatti a rovistare, niente immondizia a terra. Trovata la chiave apro e devo vedermela con in nomi in tedesco sui cassonetti. Fortuna avevo fatto già la mia ricerca e trovate le giuste corrispondenze. Mi accingo a depositare i miei sacchetti quando, alle mie spalle, sento la voce di una donna, mi volto, sembra chieder a me spiegazioni sulla disposizione dei cassonetti, capisco poco e indico a gesti. Ma lei va più a colpo sicuro di me, e trova ciò che le interessa davvero: bottiglie di plastica o vetro, da recuperare e portarsi via nella grossa borsa che ha a tracolla. Devo spiegare che qui i vuoti si possono riconsegnare nei negozi e si ha indietro delle monete, oppure uno scontrino da esibire alla cassa, e farci perciò un poco di spesa.
La donna, piccolina, magra, con occhiali chiari ben inforcati, capelli raccolti con la coda di cavallo e un cerchietto a tenere ferme le ciocche, che forse le sarebbero cascate davanti agli occhi. Un corpo agile, tutto sommato, provato, avvezzo. Un corpo che si ritrova a star tutto concentrato sulle bottiglie che altri hanno acquistato, e il cui contenuto altri hanno bevuto. Ma esse, le bottiglie, possono diventare sue e significare qualche spicciolo.
Anche qui, nel paese delle api industriose, nel paese ricco, a tratti opulento...ma donne come la mia piccola donna magra ce n'è a decine e decine...li si vede ovunque a rovistare e cercare bottiglie...
Passo tutta la giornata fuori, in giro per la città. A sera torno verso casa e, stupita, la vedo ancora, sempre a camminare di palazzo in palazzo, di cassonetto in cassonetto, a cercare bottiglie vuote.
La sua giornata è stata come la mia, in fondo (?). Abbiamo camminato tutto il tempo, girando di qua e di là, occhieggiando cose che ci incuriosivano e ci facevano fermare a vedere meglio, e poi ripartire e andare...
Invece no! La nostre giornate non sono potute essere più diverse: io ho camminato da turista, gli spiccioli già nelle tasche, libera dal bisogno, libera di godermi gli angoli della città.
Lei ha camminato per bisogno, per racimolare spiccioli che non ha, per comprare da mangiare, magari anche ad altri, e non solo per sé, magari è una mamma, altra affinità con me, ma quanto diversa! Eppure abbiamo condiviso lo stesso spazio cittadino, lo stesso tempo di questo mondo iperconsumistico. Ricco? Non per tutti, questo è sicuro.
Abbiamo attraversato le stesse strade, all'incirca, eppure mai ci siamo nemmeno sfiorate come abitanti dello stesso mondo, se non come gli estremi: chi può, sta da una parte, e fa le vacanze; chi non può, sta dall'altra parte, e fa la fame, fruga nella spazzatura a cercare vuoti di bottiglie. Estremi. Contraddizione evidente, perché a me, mi è stata davanti agli occhi, viva, più reale della realtà del ticchettio dei miei spiccioli nelle tasche. Reale e blasfema, reale e schiaffeggiante. Eppur nulla accade, essi, quelle donne e quegli uomini, quei ragazzini, sono gli invisibili. Ma il loro corpo è corpo vivente come il mio, e per vivere deve mangiare e bere e dormire, come me....possiamo far finta che siano invisibili, ma stanno là e interpellano le nostre agiate coscienze.
Ci fanno inciampare nella nostra algida sicumera. Ci spingono a domandare. Ma anche per questo domandare, ci sono gli estremi: chi domanda per rispondere con umanità; chi domanda per rispondere con disumanità.
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