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I sogni son desideri ... acquistabili ....

  • Immagine del redattore: Alessandro Mori
    Alessandro Mori
  • 20 ago 2018
  • Tempo di lettura: 4 min

Quelli che possiamo chiamare ideali diventano beni in commercio, acquistabili, consumabili.

La Bellezza ad esempio; la Bontà; la Felicità; la Realizzazione di sé... Si trasformano in situazioni di vita quotidiana. Si oggettivano in oggetti. Si materializzano come sogni realizzabili. Si realizzano come possibilità cosmetiche, estetiche, chirurgiche. Prendono la forma di scarpe, vestiti, borse, cravatte, camicie, magliette, cardigan, cappotti, pantaloni slim, a zampa, col risvoltino....

Di telefonini, soprattutto. Di tablet. Di portatili. Di mp3, mp4... Di cuffiette senza fili, quasi incorporate nelle orecchie. Di Apple e di Samsung. Di marche in, piuttosto che out. Di certa musica, certo cinema, certi pub, locali, orari, certe bibite, certi cene, certi happyhour o apericena, certi selfie, certe smorfie, certe faccine...

Certe case e certi mobili. Certe macchine con certe funzionalità "di serie" o meglio non di serie. Certi luoghi, certi spazi, certi mari e certe montagne. Certe strade, certi centri, commerciali, magari.

L'elenco non terminerebbe mai, credo. Per quanto potrà mettere a valore, il mercato ci darà cose acquistabili. Per indurre all'acquisto dovrà renderle appetibili, desiderabili, necessarie: se le cose, gli oggetti, le merci, saranno i sogni che sogniamo, allora nulla si frapporra' fra esse e noi: desidereremo e correremo a comprare. Forse ormai compriamo prima ancora di desiderare: ci sentiremmo strani se non dovessimo desiderare quella cosa che già in tanti hanno acquistato. Desiderato? forse, ma comprato di sicuro: perché lo si legge e lo si vede ovunque, perché il messaggio salvifico dalla noia quotidiana, dalla insoddisfazione quotidiana è partito, è andato in tutte le direzioni. Allora sarei io "colpevole" di non averlo visto, di non essermi resa conto della novità, e quindi della assoluta necessità di averla, perché dedicata a me, si prende cura di me, mi salva dalla insoddisfazione. Allora la compro: poi arriverà anche il desiderio. Forse sono diventata apatica? Forse un poco depressa? Forse intristita e chiusa? E’ per questo che non desidero? Che la molla sana del piacere non si attiva? Ho qualcosa che non va?

La paura di essere a-patica è la paura di non essere accettata, di essere guardata con sospetto, di essere emarginata. Guai se ciò accadesse! Ho in mano la soluzione: comprare come tutti comprano, desiderare, anche se fintamente, tanto poi il desiderio arriva, quando sarò fuori pericolo apatia, quando mi sarò tratta fuori dalla potenziale depressione, dunque mi salvo. Mondo eccomi, sto bene. Sto bene come tutti voi. Stiamo tutti bene.

Credo che il mondo capitalistico attuale abbia messo a sistema la noia, l'insoddisfazione, l'infelicità: metta al suo fondamento non più l'homo oeconomicus, bensì l'homo infelix, la cui seconda natura è l'oeconomicus: assume l'habitus dell'homo oeconomicus in quanto impara, perché così gli viene insegnato, che alla sua brama di felicità, che non bramerebbe se fosse felice, alla sua brama di soddisfazione, di vitalità, si può rispondere acquistando ciò che il mercato mette a disposizione: il mercato è benevolo, esso provvede, assiste, si prende cura delle nostre brame. Perché sono brame o desideri? Si aspetta sotto le stelle (come “desiderio” sarebbe se ne vedessimo l’etimologia), oppure si pretende senza alcuna attesa? Si è capaci di differire, oppure si batte i piedi capricciosamente?

La grande meraviglia del mercato, oggi, è che non c'è più alcun bisogno di differire; non c'è più alcun bisogno di attendere, di prolungare un'agonia, che invece può essere risolta immediatamente. Il mercato apre a ciascuno davanti a sé, pronta, la possibile salvezza, la felicità, la piena soddisfazione: basta un clik, basta strisciare la carta di credito, basta pagare, anche se sembra così antiquato il contante! molto meglio munirsi di carte di credito, più veloci, più sicure, più universali, dunque più efficaci. Basta rateizzare, se poi manca il contante, se non si dispone di credito: è altrettanto facile, altrettanto sicuro, e soprattutto altrettanto efficace: pago domani ciò che meravigliosamente posso avere adesso: quando si è prodotta mai nella storia tale immensa disponibilità di soddisfazione? tale potenziale felicità, tutta a nostra disposizione? il mondo attuale è meraviglioso. E chi non lo comprendesse è folle, ha evidentemente qualcosa che non va. E rischia molto, molto più della infelice condizione di non soddisfazione; rischia l'allontanamento, la derisione, l'etichetta di strano, che è parente stretta con l'etichetta di disadattato, di asociale, di ... "che farsene di costui/costei?"

Imagine.... Perché è così levigato il nostro touchscreen? Perché non facciamo altro che tenerlo tra le nostre mani e lo giriamo e rigiriamo, sfiorandolo quasi, appena? Perché lo tocchiamo, accarezziamo, quasi? E le dita ci passano su avanti e indietro, verso l'angolo e verso l'altro, strofiniamo polpastrelli a sentire la levigatezza... È piacevole, non c'è che dire. Piacevole come una carezza. Quasi lo possiamo poggiare sulla guancia, mentre ascoltiamo la voce che viene chissà da dove, e sentire di più la morbida levigatezza che non la voce stessa. Lo mettiamo in tasca e però le mani lo cercano sempre, vogliono sentirlo tra loro.

Notifica? Di piacere? Di amici? Del nostro amore? L’attimo si illumina, la vita riprende movimento e piacevolezza. Notifica dal lavoro? Turba? Irrita? Forse sì, ma anche no: anch'essa occasione di toccare, sentire morbida levigatezza, provare soddisfazione di poter lavorare piacevolmente, con uno strumento che dà piacere. E lavorare fuori, ovunque, in piena libertà dalle pareti anguste di uffici: all'aperto, a casa, con amici, mentre si cena e si beve una birra, mentre si viaggia, mentre si sogna...lo smartphone è nostro amico e compagno fedele, ma anche nostra salvezza dalla frustrante routine che ci avvince, se dobbiamo lavorare solo ed esclusivamente in quella che un tempo, antico e superato per fortuna! era il posto di lavoro: era lì che bisognava per forza stare ore e ore. Adesso ci siamo liberati: possiamo essere ovunque, il lavoro raggiunge noi, finalmente noi siamo al primo posto, siamo più importanti, siamo riconosciuti. Non più asserviti ad un sistema incatenante, alienante. Non più al servizio di nessuno.

Solo noi, ovunque, ed il bello è che possiamo anche non rispondere subito, possiamo tirare il fiato, temporeggiare, magari finire il caffè...poi rispondiamo e lavoriamo: in fondo che ci vuole? È un mail? Questione di secondi se sono brava, se sono pratica, se ho bene acquisito la competenza, se i miei gesti semiautomatici sono efficaci. Se così è, allora posso anche continuare a fare le mie cose, pensare ad altro, insomma per nulla alienata nella operazione perché la mia efficienza mi consente di essere a successeful multitasking woman...ovvero: operazioni non vi temo!

E i sogni del mercato sono realizzati!

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