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Dopo aver letto "Briciole di Bellezza. Dialoghi di speranza per il futuro del Bel Paese",

  • Daniela Mastracci
  • 29 set 2018
  • Tempo di lettura: 5 min

"Armonia" "Dolore per gli occhi. Ritrarsi dell'anima. Accade. Non che io voglia. Accade. Il volto si gira, Le palpebre scendono a fare buio. Si spegne il sorriso... Là è dis-armonia. Là è bruttezza. Là il cuore sensibile non tollera ristare. Là Spera un divenire Buono, Bello. Grazia a donare Grazia, Armonia a intrattenere occhi anelanti, Gioia di giochi di figure e colori e suoni e odori e sapori. Pace di umano Ben-Essere. Là, ove dis-armonia s'inchina alla sua delicata signora, Colei che, sola, fa sì che sia: Senza Armonia, Nessuna dis-armonia. E allora, grata, ritrova la sua vera fonte S'era solo smarrita, Ma non persa per sempre..."

Come un tempo che è crescita organica non riflessa. Crescita che altro non è se non crosta, incrostazioni che induriscono, e sempre più occultano, nella vista, nell'odorato, nel tatto, nell'udito, nel gusto, la vivida forza vitale della crescita, quando ci accorgiamo di lei. Cresce la ruga intorno al sorriso, ma siamo distratti, invaghiti di futuro. Cresce nostro figlio, ma gli occhi corrono a misurare uno spazio che sfida la sua stessa portata. Oltre il figlio, oltre noi. E allora non ce ne accorgiamo. Cresce l'accumulo dei nostri resti, non ci chiniamo a raccoglierli. Le tracce di noi non ci appartengono. Non siamo tracce. Catturati dall'orizzonte, che però non è orizzonte di niente, se non raccoglie entro di sé noi e il nostro tempo, nello spazio ove camminiamo insieme; se non orienta, non ricordando più da dove si diparte e, a partire da qui, dal punto che lo origina, il mio e nostro sguardo, significano una direzione, un Senso. Non, cioè, un qualunque, astratto, sguardo, non un qualunque, astratto, orizzonte. Ma il solo che può essere nostro, concretamente, ma solo se siamo capaci di accorgerci di noi stessi che lo originiamo, e del mondo entro cui lo originiamo. Catturati, invece, da un Futuro senza determinazione alcuna, nutrito solo del suo appellarsi Futuro, vago, proprio perché dimentico del punto d'origine, esso è solo una distesa vuota che sembra imporci la sua chiamata, ma che non sappiamo riempire nemmeno di sogni, catturati allora dal nulla, e dimentichi della Felicità. Crescita, accumulo, sedimentazione di resti, si fanno croste, e ciò che sta al di sotto di esse non respira più bene, agonizza, muore, forse. Come una colata, arrogante e giustiziera, di cemento. Come una condanna. Perché stiamo scambiando l'essere ieri e l'essere oggi come male, come retaggio di colpe, come zavorre su una coscienza che non osava ancora rivolgersi contro il suo Olimpo, pavida. Per non essere pavidi facciamo la scalata all'Olimpo e però questa tracotante salita costa lasciare ogni resto alle spalle, gettare via pesi, tagliare i fili che legano e ancora, caparbi, vorrebbero trattenere. Via tutto. E però ciò che lasciamo si fa crosta. E mettiamo i piedi sopra un mondo fatto di crosta, come morto. I resti si son fatti veleni, miasmi irrespirabili. Noi con loro siamo sotto la crosta. Perché i resti abbandonati crescono di quantità, ci sommergono. Con una sola qualità che è la smemoratezza, fatta di un recidere illuso. Oppure fatta di non curanza. Perché lasciamo a incrostarsi i rapporti umani, oltre che i resti di una produzione incontrollata e incontrollabile; resti di parole di una lingua che ha solo il sapore come di ingranaggi immasticabili, senza congruità alcuna con il gusto umano: parole della lingua della efficienza, della produttività, della quantità senza più qualità, senza domanda di Senso, senza Direzione, senza Orizzonte. Se solo vale il numero di operazioni svolte e la di esse, e solo di esse, efficacia contabilizzata e contabilizzante, se vale il numero di zeri crescente di un Pil a-nonimo, ove né legge scritta né non scritta valga di più, allora lasciamo all'incuria le persone oltre che le cose, donne e uomini, oltre la Terra sopra cui pur sempre camminiamo e non possiamo non camminare, un Terra che ci ospita, nonostante tutto. Ma se c'è Cuore la crosta si può rompere. Se lo sguardo si ritrova umano, e ospite grato, può ancora empirsi di commozione e gratitudine, e però allora, compassionevole, il volto "abbassa" gli occhi dal cielo, ora falso, dell'astratto numero, alla Terra, ove scorre l'acqua che ci fa vivere. E poi non vedendo più acqua che fa vivere, ma opaca di resti immondi, gli occhi rifuggono sporcizia incrostata, sanno di sé, ricordano di aver gettato via i suoi resti, e la memoria li aiuta a vedere attraverso, e a rompere la crosta. Essa è umana, ma le cose umane non sono eterne, così come si producono possono essere ri-prodotte, modificate, Salvate. E quegli occhi sanno bene dove sono, e quando sono; ricordano l'orizzonte ove stanno e non possono non stare, non cieli astratti di niente, ma la concreta sostanza che li ospita. Quegli occhi sanno di essere di un uomo qui e ora, in questa Terra e in questo Tempo che è Italia, ospite memore, e non ingrato, di una ancor ospitale Terra. E la sua Terra è fatta di sostanza etica e politica, oltre che, benefica, di marrone, gravida zolla, e azzurra acqua, e tersa aria...ricordi, ma essi stessi gravidi di quel che non si vede più, di quel che pure riposa sotto la crosta, ancor vivente, seppur in agonia, vivente per chi, con mente e cuore, porga loro orecchio: si sente come un gemito, allora si corre in soccorso. E se etico e politico è, questo si chiama Costituzione. Mai snocciolata con tracotante retorica. Sempre ri-cordata come il centro stesso del cuore che in essa batte, fatto della carne e del sangue di chi l'ha consentita, e della mente, memore e lungimirante, di chi l'ha scritta per Noi. Essa soggiace e vive per chi sappia ascoltarla, ma deve vivere negli atti di noi che ne siamo testimoni, e perché la sappiamo, e perché la tramandiamo. E per tramandarla non occorre dirla, anche! Soprattutto occorre farla! Esser-la. E perciò Filippo Cannizzo la scrive, pagina per pagina, nel libro "Briciole di Bellezza. Dialoghi di speranza per il futuro del Bel Paese", pubblicato il 27 Settembre 2018 per Mimesis Edizioni, perché egli la è, e perché invita con caldo cuore ad esser-la. Dall'articolo 9, in particolare, amato articolo, perché questo sembra essere proprio la "fessura" da dove riaprire pian piano la crosta, e far riemergere la Bellezza della Cura, della Memoria che, sorella di Smemoratezza, salva, ma proprio sapendo che può dimenticare, nell'impegno infaticato di non dimenticare. Armonia, celata, ma non morta. Armonia che può tornare dal non più, ed essere ancora, in un non-ancora tutto da realizzare, insieme.

"Gioia" "Avrei potuto vivere senza conoscere la mia anima; Senza scoprirne l'inclinazione. Avrei potuto morire senza Gioia. Finire il Tempo che sono Senza il battito Felice del Cuore. Avrei potuto attraversare un intero deserto, E non avere mai nessun Miraggio. Miraggio! Ma così vero! Così tangibile nella sua eterea evanescenza, Così Dolce nella sua Promessa. Avrei potuto vivere senza mai alcun Vedere, Senza un Brivido di Immensità... Io credo di Vedere. E vedo gli uomini danzare: Donne e uomini che hanno amato donne e uomini... Vedo Filia assieme a Sofia"

 
 
 

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