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La paideia del XXI secolo

  • Riccardo De Santis
  • 23 ott 2018
  • Tempo di lettura: 3 min


Fin dall’antichità molti filosofi e personaggi di spicco della storia occidentale sostenevano che la scuola dovesse educare al pensiero, e non riempire di regole e nozioni gli studenti. Già nella Grecia antica l’istruzione dei giovani ateniesi si svolgeva secondo il modello della “paideia”, un termine che significava formazione e cura dei fanciulli e diventava sinonimo di cultura e di educazione. Oltre alla paideia fisica, ovvero la cura del corpo, vi era la paideia psichica, volta a garantire un’integrazione armonica dell'individuo nella polis, ossia all'interiorizzazione di quei valori universali (spirito di cittadinanza, senso di appartenenza,…) che costituivano l’ethos del popolo. Questo modello fu poi ripreso dai Romani e modificato nel corso dei secoli per adattarsi alle nuove culture, ma oggigiorno sembra che l’obiettivo primario della paideia, ossia l’inserimento dei ragazzi nella società, si sia perso di vista e sia stato sostituito da un bisogno pedante di trasmettere agli studenti una pura conoscenza nozionistica.

Si potrebbe pensare che il modello di istruzione greco sia eccessivamente lontano dalla nostra epoca, e quindi difficilmente applicabile nelle nostre istituzioni; in realtà, più che riprendere il modello vero e proprio, bisognerebbe quantomeno ispirarsi ad esso e imparare dal nostro passato. Molti infatti commettono l’errore di ritenere la società odierna avanzata e superiore a quelle precedenti solo per un presunto sviluppo socio-economico e per il progresso tecnologico a cui assistiamo ogni giorno, che ci stupisce con le sue creazioni sempre più futuristiche. Questo pensiero così presuntuoso si rivela limitante nel momento in cui, invece di guardare alla storia con uno sguardo conoscitivo, la osserviamo come qualcosa di lontano e di passato, che non ci riguarda direttamente. Questa visione della storia è forse frutto del nostro approccio scorretto all’apprendimento: la storia non è un insieme di date ed eventi da imparare a memoria, ma una ricostruzione del proprio vissuto e del proprio ambiente, e quindi la rielaborazione della "memoria" e della propria identità culturale. Lo dicevano i filosofi idealisti tedeschi: la memoria “rammemora” per conoscere se stessa. La cultura permette all’individuo di distinguersi dalla massa e, allo stesso tempo, di scoprirsi parte di essa; grazie alla conoscenza, l’individuo prende coscienza del contesto in cui vive, e riscopre la presenza di tale contesto in se stesso.

Se ci fermiamo ad osservare la realtà del XXI secolo, ci accorgiamo che il mercato del lavoro cerca ormai persone con una formazione elevata, capaci di dimostrare doti di ragionamento, di assunzione di responsabilità e di acquisizione di nuove competenze. Non sarà quindi rimanendo dentro l’antico sistema dell’insegnamento trasmissivo che si creeranno menti capaci di svolgere tali funzioni; c’è un evidente bisogno di modificare il nostro modo di pensare la scuola, e lo stesso modello didattico tradizionale richiede un profondo cambiamento nell’impostazione e nei metodi, pena il rischio che esso possa diventare sempre più incapace di fornire le competenze indispensabili a vivere in una società dove tutto si modifica rapidamente.

Il discorso non si limita però all’ambito professionale e abbraccia anche quello della ragione: di fronte al flusso incessante di messaggi che giungono ai ragazzi, il compito della scuola è quello di rafforzare la capacità di non subire passivamente tali segnali, fornendo strumenti culturali non astratti, ma fortemente connessi al contesto ambientale e sociale, per analizzarli e decodificarli. E’ attraverso l’istruzione che gli individui si renderanno padroni del loro futuro, ed è la conoscenza che ci permette di emanciparci, di non avere paura della realtà che ci circonda e di essere cittadini consapevoli. Questo ritengo essere il fine ultimo dell’istruzione scolastica.

 
 
 

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